Le storie su Randolph Carter appartengono al Ciclo dei Sogni, un amalgama di oniriche visioni a cui il protagonista accede solo dopo aver oltrepassato la soglia del mondo diurno. Diciamo subito che Carter non è altro che l’alter ego di Lovecraft, il Sognatore di Providence. Infatti il personaggio letterario sottolinea con rammarico come l’esistenza sia ormai asfissiata dai ritmi vuoti e meccanici della quotidianità, che di fatto hanno congelato l’intelletto in un banale raziocinio ingabbiandone la naturale propensione alla meraviglia. Attraverso Carter, dunque, Lovecraft dà libero sfogo alla potenza visionaria della mente. I luoghi in cui è nato e cresciuto diventano la sua musa ispiratrice, stimolandogli portentose sublimazioni dei sensi che proiettano ciò che lo circonda in una dimensione incantata e ultraterrena, onirica per l’appunto.

Tre volte Randolph Carter sognò la città meravigliosa, e tre volte ne fu rapito, mentre l’ammirava dalla terrazza panoramica. […] Il mistero aleggiava su di essa come una nube sulla cima di una montagna favolosa e inesplorata, e quando Carter guardava la città dal parapetto della terrazza rimaneva senza fiato, assalito dal sapore e dal mistero di ricordi semidimenticati, dal dolore delle cose perdute e dal desiderio struggente di rimettere al suo posto ciò che una volta aveva avuto un’importanza portentosa e straordinaria”.

La saga di Randolph Carter si compone di cinque scritti, di cui quattro racconti e un romanzo breve:

  • La dichiarazione di Randolph Carter (1919).
  • Innominabile (1923).
  • La Chiave d’Argento (1926).
  • Alla ricerca del misterioso Kadath (1926-27).
  • Attraverso le porte della Chiave d’Argento (1932. Nasce come revisione a uno scritto di Edgar Hoffmann Price).

La dichiarazione di Randolph Carter, una deposizione alle autorità sulla misteriosa sparizione dell’amico Arley Warren, ha origini oniriche. Il racconto è infatti la trascrizione di un sogno di Lovecraft in compagnia dell’amico Samuel Loveman, con cui si era avventurato nell’esplorazione di un cimitero del New England durante la quale Loveman si era addentrato in una cripta restando in contatto telefonico con Lovecraft rimasto in superficie, il quale assiste impotente ai risvolti nefasti della vicenda.

L’Innominabile punta sull’orrore che si cela tra le mura di decrepiti edifici abbandonati, dove permane la traccia degli inquilini che vi hanno vissuto, anche dopo la loro morte. Ancora una volta lo scenario iniziale è un cimitero, in cui Carter e l’amico Joel Manton sono intenti a disquisire su fenomeni paranormali. La discussione verte su una creatura vista aggirarsi per la zona nel 1700, quando un vecchio la fronteggiò rinchiudendola in soffitta. Affascinato dalla leggenda, Carter giorni prima aveva effettivamente trovato delle prove che, unitamente alle manifestazioni soprannaturali che sopraggiungono, gettano lo scettico ma superstizioso Manton nello sconcerto più totale.

Gli ultimi tre titoli del Ciclo vedono Randolph Carter alienarsi dalla realtà e intraprendere viaggi favolosi nei reami del sogno. Questa sua facoltà si manifestò all’età di dieci anni, quando rinvenne in soffitta uno scrigno contenente la Chiave d’Argento, un lascito del nonno. Bisogna specificare che la discendenza dei Carter è costellata di personaggi legati al soprannaturale e all’occulto. Basti citare Sir Randolph Carter, studioso di magia all’epoca di Elisabetta I, oppure l’eretico Edmund Carter vissuto ai tempi delle streghe di Salem. Quindi la predisposizione del nostro Randolph all’insolito è del tutto congenita, caratteristica che gli facilita l’impiego della Chiave e la stupefacente architettura dei suoi mondi onirici.

Ma in cosa consiste esattamente l’arcana Chiave d’Argento? Vari indizi sono disseminati nel Ciclo in questione, sebbene nell’ultimo racconto, Attraverso le porte della Chiave d’Argento, si entra più nel dettaglio.  Emerge infatti che il manufatto reca delle incisioni in una lingua misconosciuta estrapolata dal Necronomicon (che non è a sua volta frutto di allucinate esperienze oniriche di Abdul Alhazred?), la cui opportuna recitazione, coadiuvata dal corretto impiego della Chiave, consente l’attraversamento di piani temporali e spaziali fuori dall’ordinario, fino a giungere all’Ultima Soglia che conduce al Grande Vuoto al di là di tutti i mondi. Pare che Carter abbia compiuto il rituale nella Tana del Serpente, un antro dove l’antenato Edmund Carter, una volta fuggito da Salem nel 1692, si rifugiò per mettere in atto svariate pratiche mistiche che gettarono sul luogo un’aura infausta.

Essendo quindi il Necronomicon una chiave dimensionale, anche la Chiave d’Argento a cui è legato apre delle soglie dell’Altrove. Tale correlazione non è casuale, dal momento che entrambi rimandano alle medesime entità aliene e a luoghi di terrore. Ne Alla ricerca del misterioso Kadath Randolph Carter sogna una meravigliosa città del tramonto, raggiungibile attraverso territori inesplorati fino ai deserti di ghiaccio e tenebra che ospitano Kadath, il monte che si perde tra le nuvole e ignote costellazioni, sulla cui vetta sta appollaiato il castello d’onice dimora dei Signori, divinità terrene che sottostanno agli Dei Esterni che siedono alla Corte di Azathoth. Per raggiungere la vetta Carter si imbatte in creature della peggior specie, dai Magri Notturni agli Shantak, attraversando luoghi d’incubo come l’Altopiano di Leng, la lugubre Inganok e i dungeons del monastero preistorico del ‹‹sacerdote che non bisogna descrivere, colui che indossa la maschera di seta gialla e prega gli Altri Dei e il caos strisciante Nyarlathotep››. Quest’ultimo, proprio quando Carter è prossimo alla riuscita della missione, gli tende una trappola palesandosi sotto mentite spoglie. La città del tramonto non è altro che un incastro di luoghi e sensazioni vissuti da Carter quando era bambino, vividi sprazzi del New England in cui è nato e cresciuto, la cui sensibilità lo ha portato a sublimarli in quell’incantevole tripudio architettonico. Solo ripercorrendo quei momenti Carter riesce a sfuggire all’abisso in cui Nyarlathotep vuole scagliarlo. Poiché da inguaribile romantico qual è, il Carter-Lovecraft trae forza e speranza dalle circostanze della vita che lo hanno corroborato maggiormente nel corpo e nello spirito.

Alla fine, ne Alla ricerca del misterioso Kadath, l’essenza della ricerca del protagonista non risiede nel disvelamento di una verità cosmica (cosa che invece avverrà nell’ultimo racconto del ciclo), quanto nel ricongiungersi con la parte migliore di sé stesso e, riconoscendole un indissolubile legame affettivo, utilizzarla come ancora di salvezza per non affondare nel deliquio in cui sta precipitando.

‹‹Guarda! Non è al di là di mari sconosciuti che devi cercarla, ma negli anni ben noti del tuo passato; nel passato a ci appartengono le misteriose intuizioni dell’infanzia e le improvvise rivelazioni di magia che gli occhi della gioventù sanno cogliere negli scenari familiari››.

Tale tematica ha una controparte reale rintracciabile nella vita stessa di Lovecraft. Mi riferisco alla triste parentesi Newyorkese, un inferno che ha annichilito la vitalità dell’autore schiacciato da una modernità sfrenata e dalle brutture di stranieri che sguazzano nei bassifondi. Proprio come nel racconto, il lieto fine giunge quando il Carter-Lovecraft ritorna alla sua – fino a quel momento utopica – città ideale foriera di caldi ricordi d’infanzia, quando tutto era radioso e spensierato.

Come anticipato, quello intrapreso da Randolph Carter è un vero e proprio percorso di iniziazione. ‹‹Ad ogni nuova prova, di fronte ad ogni nuovo ostacolo, il sognatore è costretto a fare una deviazione. O è proprio la deviazione a creare gli ostacoli e a determinare la prova? I procedimenti onirici sono sempre inseparabili dai modelli mitici. Carter, inoltre, dà inizio alla sua quest solo dopo aver consultato, ad Ulthar, i Manoscritti Pnakotici e I Sette Libri Criptici di Hsan, che contengono i dati principali riguardo i Miti di Cthulhu. Sono queste profondità del mito che il sognatore esplora, mito le cui sporadiche epifanie sulla superficie della terra ci sono già note›› (Negli Abissi del Sogno, di Maurice Lévy).

L’intero ciclo narrativo, partito da una domanda, giunge a compimento solo quando al protagonista, in Attraverso le porte della Chiave d’Argento, viene rivelata la risposta ultima ai segreti ermetici che lo hanno motivato per tutto il tragitto.

Nella Tana del Serpente, già teatro di prodigi ad opera dell’avo Edmund Carter, Randolph pratica il rituale magico del trapasso che, come riportato nello stesso Necronomicon, prevede che il viaggiatore venga affiancato dalla Guida, il Più Antico, il terribile ‘Umr At-Tawil, conosciuto anche come l’Insaziabile della Vita. Grazie ad esso Carter conclude questo percorso spirituale e varca l’Ultima Soglia. La limitatezza del pensiero comune viene spazzata via: tridimensionalità, spazio e tempo, individualità…tutti concetti limitanti che rappresentano un misero ingranaggio di un meccanismo ben più complesso. In tal senso Randolph coglie la relazione che intercorre tra ‹‹i vari aspetti di sé: il frammento che ora si trovava oltre l’Ultima Soglia […], il ragazzo del 1883, l’uomo del 1928, i vari esseri ancestrali da cui discendeva e che costituivano la sostanza del suo io e gli innumerevoli abitanti di altre ere e altri mondi che quel primo, orribile lampo di assoluta rivelazione gli aveva permesso di identificare con se stesso. […] La discendenza degli individui nelle dimensioni finite, ma anche tutti gli stadi di sviluppo del singolo organismo, non sono che manifestazione di un unico essere archetipo ed eterno nello spazio al di là delle dimensioni. Ogni individuo locale (figlio, padre, nonno e così via) è soltanto una delle infinite fasi dello stesso essere archetipo ed eterno, ed è causato dalle variazioni nell’angolo del piano di coscienza che lo interseca. I Randolph Carter di tutte le epoche, suoi antenati umani e preumani, terrestri e preterrestri, erano fasi di un Carter definitivo ed eterno che esisteva oltre lo spazio e il tempo, proiezioni-fantasma differenziate solo dall’angolo in cui il piano della coscienza intersecava di volta in volta l’archetipo immutabile. Un lieve cambiamento d’angolo sarebbe bastato a trasformare lo studioso di oggi nel bambino di ieri, a mutare Randolph Carter nel mago Edmund Carter […]››.

E con un finale degno della portata epica dell’intero Ciclo, Lovecraft cala un sipario che lascia in sospeso qualcosa che forse non troverà mai compimento. Perché se le connessioni tra i vari sé di ognuno e le dimensioni cosmiche sono così complessi e sfaccettati, allora risolvere l’equazione dell’esistenza non è ancora alla nostra portata. Ma averne preso atto attraverso questi scritti resta comunque una sublime esperienza onirica anche per il lettore. Fisica quantistica, filosofia, archetipi junghiani, socialismo e chi più ne ha più ne metta. Non mi pare esagerato considerare il ciclo di Randolph Carter un testamento di Lovecraft stesso, che attraverso il suo avatar letterario ha dato libero sfogo a tutti i fantasmi e le visioni che lo attanagliavano nel sonno come nella veglia. Per esorcizzare tali mostri Lovecraft mette in chiaro che bisogna inoltrarsi nei loro reami, che siano il sogno, l’ignoto, o come preferite connotarli. In tal modo essi possono addirittura trasformarsi da nemici in alleati. Come i Magri Notturni incontrati da Carter, che per quanto orripilanti si mostrano servizievoli nei suoi confronti. ‹‹Nelle acque profonde del sogno, lo scrittore giuoca con i propri demoni […], si unisce a loro in quelle tenebrose profondità›› (ibidem).

In questo contesto la Chiave d’Argento diventa il risvolto positivista della medaglia, il cui lato oscuro è rappresentato dal Necronomicon. Entrambi sono passepartout verso dimensioni aliene, ma mentre il libro maledetto è improntato su una conoscenza tesa a dominare forze esterne all’individuo, la Chiave d’Argento mira al disvelamento delle forze intrinseche tramite le quali prendere coscienza di sé, della propria esistenza, e acquisire consapevolezza nella vita di tutti i giorni.

Solo così il Randolph Carter che alberga in ognuno di noi può discendere ‹‹la scala di marmo che porta alla città meravigliosa››, tornando in pace col proprio mondo idilliaco da cui è stato plasmato.


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