Editore: Mimesis

Collana: Il caffè dei filosofi

Data di pubblicazione: Febbraio 2021

Pagine: 222

Formato: Copertina flessibile

Prezzo di copertina: 18 € 

Ebook: 12,99 €

 

 

 

 


Ricordo bene il momento in cui iniziai la serie True Detective, nel 2014. Ne restai folgorato. Le mie aspettative erano altissime ancor prima di cominciarla. Sapevo si parlasse del Re in Giallo di Chambers, tra le figure a mio avviso più affascinanti della weird fiction classica, e si facesse riferimento a Thomas Ligotti, altro autore di cui ho letto tutto ciò che è stato pubblicato in Italia. Le premesse erano dunque entusiasmanti e infatti la prima stagione si è confermata un capolavoro, purtroppo non eguagliata dalle successive. La coppia di detective Rust Cohle (Matthew McConaughey) e Marty Hart (Woody Harrelson), di una complessità drammatica superlativa, è stata l’altra arma vincente insieme all’ambientazione: una Louisiana malsana e sinistra, esaltata dalla plumbea fotografia di Adam Arkapaw. Uno scenario gotico rurale in cui prospera la Setta della Palude, da decenni alle prese con sacrifici umani e abusi di minori in nome del suo dio, il Re in Giallo. True Detective non è solo un’incursione nella criminalità occulta, ma un’anabasi metafisica nel labirinto del male, luogo di perdizione e sovvertimento che risponde al nome di Carcosa.

La simbologia oscura della prima stagione trova una degna analisi nel saggio di Marco Maculotti intitolato Carcosa svelata. Appunti per una lettura esoterica di True Detective, pubblicato recentemente dalla Mimesis. L’indagine di Maculotti è ad ampio raggio: inizia con una panoramica su omicidi a sfondo pedo-satanista realmente accaduti, per poi planare sulla distesa di complessi mitopoietici caratterizzanti l’escatologismo ancestrale dell’intera stagione.

Il primo capitolo del libro fa luce su un retroterra di perversione imputato a sette deviate dove militano personalità di spicco dell’alta società americana. Si pensi ai satanisti della Hosanna Church, in Louisiana, di cui solo una parte è finita a processo nel 2005. I restanti colpevoli si pensa l’abbiano fatta franca grazie a potenti agganci nella magistratura. Un altro caso agghiacciante coinvolge il Bohemian Club, ritrovo annuale degli uomini più influenti del pianeta i quali, in segreto, pianificano rivolgimenti globali (ricordo il Progetto Manhattan) e partecipano a rituali pagani. Sono solo alcuni esempi di un neopaganesimo deviato ben noto a giornalisti e inquirenti, trovatisi in più occasioni a resocontare situazioni riprovevoli fra cui cerimonie sacrificali e abusi sessuali. La stessa Hollywood ne è parte integrante, come testimoniato più o meno velatamente da pellicole quali Rosemary’s Baby (1868) di Roman Polanski e Eyes Wide Shut (1999) di Stanley Kubrick. Solo recentemente stanno affiorando con maggiore nitidezza gli scandali – si veda lo sconcertante caso Epstein – perpetrati dietro le quinte dello scintillante mondo hollywoodiano.

Anche True Detective, dietro i ciak della finzione, racconta una macabra realtà della Louisiana insabbiata da circoli religiosi depravati. Il marchio della spirale inscritta in un triangolo visto nella serie trova riscontro nei rapporti dell’F.B.I. riguardanti traffici di minori e pedofilia rituale. Materiale da far gelare il sangue.

Il libro prosegue con l’inquadramento mitico e simbolico sia dei personaggi principali che dei codici ritualistici a cui si rifà la Setta della Palude. Il villain Errol Childress, ad esempio, incarna lo stereotipo dell’Uomo Selvaggio, rude e massiccio, stanziato ai margini della civiltà. Ulteriore indicatore della sua condizione preterumana è il labirinto di rami secchi costruito nei pressi dell’abitazione, un primitivo luogo di culto funzionale all’espletamento della ritualità sacra. Esso è una proiezione terrena di Carcosa, meta del viaggio misterico finalizzato al ricongiungimento con la divinità.

Ulteriori simbologie si accentrano sul cadavere di Dora Lange, il cui ritrovamento dà il via alle indagini dei due detective. Sul capo della ragazza, legata a un albero in posizione genuflessa, è posata una corona con corna cervine. Maculotti le collega agli antichi riti della fertilità, connessi alla scansione ciclica del cosmo in un perpetuarsi di morte e rinascita. Gli elementi salienti del cervo, animale sacro di molte culture arcaiche, venivano esibiti come ornamenti sacerdotali nel corso dei cerimoniali. «Per gli antichi Celti le corna di cervo rappresentavano proprio la “corona del re sacrale”, indossata dai sovrani nelle principali cerimonie religiose del ciclo dell’anno, che noi possiamo immaginare identica a quella che in True Detective viene posta sul capo di Dora Lange, sotto forma di offerta di tipo “analogico” al Re in Giallo. Da questo punto di vista, si possono inquadrare i sacrifici umani che la Setta della Palude compie nel serial di Pizzolato alla luce degli antichi rituali della fertilità europei (e non solo)»[1].

Anche la spirale, marchio distintivo della Setta e delle sue vittime, definisce le coordinate archetipiche della temporalità ciclica e del labirinto. Dal punto di vista iniziatico il cammino spiraleggiante conduce all’ascesa animica, se orientato verso il centro, oppure alla catabasi infera se percorso verso l’esterno. Volgendo l’attenzione all’universo, la spirale veniva associata dagli antichi al culto della Dea Madre e al suo Utero Cosmico procreatore della vita e ricettacolo della morte. Connesse al perpetuarsi uroborico dell’esistenza, nonché all’ordinamento o alla devastazione della stessa, si contano molteplici divinità sparse per il mondo, tutte classificabili come «“doppi funzionali” del Re in Giallo della serie tv di Pizzolato»[2]. È il caso del celtico Cernunno dalle corna cervine, Nume abissale dell’Aldilà associato alla natura selvaggia e alle potenze degenerative che vi imperversano. Anche Kronos e Okeanos, reggitori dei processi trasformativi vincolati all’eterno ritorno, presiedono alla fluidificazione circolare dell’elemento cronico-temporale. In loro si ravvisano tratti speculari allo Yama vedico, all’Erlik Khan mongolo e, per alcuni aspetti, allo Huang-Di cinese, il mitico Imperatore Giallo accostato (come il dio egizio Ptah e il norreno Amlòdi) a Saturno, astro sovrano dell’ordinamento celeste. Saturno viene identificato come il Dio-Re dell’Età dell’Oro, «miticamente caratterizzata da un’eterna primavera e da un tempo acronico che non scorre […]. Il colore indicativo dell’età primordiale e preter-temporale della storia cosmica […] non può che essere il giallo dell’oro […] e quindi a ragion veduta si possono ipotizzare delle corrispondenze tra il divino sovrano primordiale e il Re in Giallo della mitologia chambersiana»[3]. Corrispondenze avallate ulteriormente dalla condizione di esiliato in un limbo tombale di non-morte, disperso tra gli abissi dello spazio e del tempo. Il Tartaro in cui Saturno/Kronos è confinato ricorda la Carcosa del Re in Giallo o la R’lyeh di Cthulhu, tutti in attesa di una congiunzione astrale propizia alla restaurazione del proprio suprematismo.

La circolarità temporale, fobica prigione dell’uomo moderno, è il tema portante della serie di Pizzolato, esplicitato in più occasioni dal nichilismo di Rust Cohle (improntato su La cospirazione contro la razza umana di Thomas Ligotti) a proposito del tempo come cerchio piatto e della “Teoria-M”.

Avete mai sentito parlare della Teoria-M, detective? In questo universo noi gestiamo il tempo in maniera lineare, in avanti. Ma al di fuori del nostro spazio-tempo, da una prospettiva che sarebbe quadridimensionale, il tempo non esisterebbe. E da quella posizione, se potessimo raggiungerla, vedremmo che il nostro spaziotempo è come appiattito, come una singola scultura la cui materia è in sovrapposizione ad ogni luogo che abbia mai occupato. La nostra vita si ripropone ciclicamente come dei cart su una pista. Tutto quello che è al di fuori della nostra dimensione è eternità. L’eternità ci osserva dall’alto. Ora per noi è una sfera, ma per loro è un cerchio

All’interno dell’accurata disamina di Maculotti non può mancare uno spazio dedicato alle origini letterarie del Re in Giallo. Come gli appassionati sapranno già, tutto ha inizio con il racconto di Ambrose Bierce Un abitante di Carcosa (1885), dove per la prima volta viene menzionato questo luogo[4] ultraterreno di sterminata desolazione, pervaso da un malevolo senso di fatalità. Il protagonista vi giunge una volta deceduto, sebbene ne abbia consapevolezza solo dopo essersi imbattuto nella propria lapide. Il suo spirito, sembra suggerirci Bierce, è tornato a un tempo estinto, logoratosi nell’oblio di una storia mai raccontata.

La città di Carcosa, imprigionata in questo flusso regressivo, si presenta scarnificata dagli artigli spettrali di un empio maleficio. La sua ubicazione corrisponde a un non-luogo nei pressi della costellazione del Toro – visti i riferimenti ad Aldebaran e alle Iadi –, dove tra stelle nere e strane lune una coppia di soli gemelli tramonta nel lago di Hali. I dettagli astronomici vengono aggiunti dieci anni dopo da Robert Chambers nella raccolta Il Re in Giallo (1895), in cui si approfondisce la figura del Re lacero Hastur e del suo regno perduto. Purtroppo solo quattro racconti sono dedicati alla cosiddetta “Mitologia Gialla”, comunque sufficienti a consacrare un immaginario di terrori cosmici che non ha mai smesso di espandersi in termini di popolarità.

Sempre merito della creatività di Chambers è il Libro Giallo, uno pseudobiblium anticipatore del Necronomicon lovecraftiano che induce il lettore alla pazzia. Visti gli effetti, le autorità hanno provveduto a bandirlo, sebbene venga tramandato all’interno di una cerchia elitaria di famiglie altolocate facenti parte, ci informa Chambers, di una segreta dinastia imperiale d’America risalente alla mitica Carcosa. Sull’autore del Yellow Book non si conosce nulla, eccetto l’eventualità che si sia suicidato dopo aver compreso quale opera immonda avesse redatto.

Sono altresì interessanti i parallelismi cuciti da Maculotti tra Chambers e gli altri maestri del fantastico, venturi e coevi, quali Karl Edward Wagner, Abraham Merritt, Arthur Machen, Lovecraft e persino Oscar Wilde, nel cui Dorian Gray compare un libricino giallo dal contenuto così straniante da turbare la mente. Una coincidenza tutt’altro che fortuita. Dalla letteratura tardo ottocentesca fino al serial di Pizzolato, il filo giallo srotolato da Maculotti traccia una visione sconfortante del mondo moderno, fragile e insulso nonostante i traguardi evolutivi.

Indagare le regioni remote dell’esistenza comporta incontri raggelanti con l’imperscrutabile. «Infatti questi misteri indicibili, se da una parte – analogamente agli insegnamenti esoterici delle cosmogonie orientali – consentono all’essere umano di smascherare la finzione dell’antropocentrismo e della straordinarietà dell’individuo […], dall’altra spalancano veri e propri scenari terrificanti in cui […] l’umanità appare in balia di potenze molto più antiche e inafferrabili, conoscibili unicamente per mezzo di certi libri blasfemi a noi giuntici attraverso le ere, capaci di incarnare le suddette forze ataviche per mezzo di simboli e nomi segreti»[5].

Con la mia esposizione ho voluto toccare i punti salienti di un saggio che reputo illuminante. Vi ho trovato tanti temi a me cari: filmografia, esoterismo, antropologia, letteratura del soprannaturale. Ripercorrere la prima stagione di True Detecrive con collegamenti così approfonditi si è rivelata un’esperienza estremamente appagante. Consiglio quindi a tutti voi, amanti del mistero e dell’occulto, di esplorare la cosmogonia di Pizzolato – che è poi la cosmogonia della nostra era – sotto la guida esperta di Marco Maculotti, un vero Cicerone del Grande Abisso.

 

 

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[1] M. Maculotti, Carcosa svelata. Appunti per una lettura esoterica di True Detective, Mimesis, Milano – Udine 2021, p. 63.

[2] Ivi, p. 70.

[3] Ivi, pp. 143-144.

[4] Il nome pare derivi da Carcaso, idioma latino di Carcassonne, cittadina medievale francese.

[5] M. Maculotti, Op. cit., pp. 117-118.


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