Editore: Venexia

Collana: Civette di Venexia

Data di pubblicazione: Aprile 2020

Pagine: 407

Formato: Copertina flessibile

Prezzo di copertina: 22 € 

Ebook: 5,99 € 

 

 

 


Dion Fortune (1891-1946), pseudonimo di Violet Mary Firth, è annoverata tra le personalità più influenti del pensiero esoterico novecentesco e del riscatto femminista. Scrive al riguardo Alan Richardson: qualsiasi donna «abbia osato sfidare il moderno patriarcato dovrebbe essere profondamente grata a Dion Fortune per averle spianato la strada dimostrando che, a partire dai Piani Interiori, è il gentil sesso che detiene il potere. Senza troppi giri di parole, Dion Fortune ha riportato la Dea nel mondo.

Allo stesso tempo, tutti i maghi moderni di entrambi i sessi devono esserle debitori per la chiarezza cristallina con cui ha esposto l’oscura materia ermetica che altrimenti non avrebbero saputo cogliere»[1].

Si dice che fin dall’età adolescenziale Dion Fortune abbia manifestato facoltà medianiche e sensitive, inducendola ad approfondire questa sua predisposizione naturale. I corsi di psicologia e psicanalisi frequentati presso l’Università di Londra le valgono la qualifica di psicoterapeuta, esercitata dal 1912 all’interno della East London Clinic. In lei convivono le teorie scientifiche di Jung, Adler, Freud soprattutto, e le dottrine occulte apprese grazie all’ingresso nella Società Teosofica (1907) e nella Golden Dawn (1919). In quest’ultima adotta il nome iniziatico di Deo non Fortuna, traendone lo pseudonimo con cui firmerà le pubblicazioni a venire. La sua permanenza nell’Ordine Ermetico dell’Alba Dorata termina nel 1924, quando viene espulsa con l’accusa di averne divulgato i segreti.

Tra i suoi studi più famosi si ricordano Difesa psichica (1931), Attraverso i cancelli della morte (1932), La Cabala mistica (1935) e La Dottrina Cosmica (postuma, 1949) che raccoglie incredibili rivelazioni pervenutele dai Piani Interiori tra il 1923 e il 1924. Le opere di narrativa invece sono I segreti del dottor Taverner (1926), Il demone amante (1929), e Il Toro alato (1935), Il Dio dal piede caprino (1936), La Sacerdotessa del mare (1938) e La magia della Luna (postumo, 1956).

Come annunciato dal titolo dell’articolo ci concentreremo su Il Toro alato, pubblicato nel 2020 dall’editore Venexia che in tal modo completa la traduzione del corpus narrativo dell’autrice. Iniziamo dalla trama.

Il giovane scapolo Ted Murchison non se la passa bene. A 33 anni non riesce a trovare un impiego che lo gratifichi. Dopo la scuola si era arruolato nel Corpo di spedizione britannico, gli Old Contemptibles, ma una volta congedatosi non aveva soldi sufficienti per crearsi una posizione all’altezza delle aspettative. Al momento è ospite del fratello Acton e della sua famiglia di timorati, altro motivo di insofferenza per un ateo sprezzante come Ted.

Un pomeriggio egli si reca al British Museum per distrarsi, quando all’improvviso si imbatte nell’effige di un toro alato dal volto umano. Tra i due si instaura all’istante un’inspiegabile connessione psichica che spinge Ted a stipulare una tacita promessa: lui e la statua non avrebbero più smesso di frequentarsi.

Uscito dal British Museum, lo attende una fitta coltre di nebbia. L’uomo inizia a camminare alla cieca, perso nei pensieri di quell’incontro surreale. Imbocca una stradina di acciottolato, risucchiata dalla caligine. «Aveva abbandonato il sentiero segnalato, che l’avrebbe condotto all’uscita nonostante il buio fitto, per andarsene misteriosamente alla deriva. Aveva deviato dal percorso umano, illuminato e tracciato, per immergersi nell’oscurità primeva. E chi lo aspettava in quei luoghi oscuri?»[2]. La risposta è lui stesso invocarla: il Grande Dio Pan.

Murchison tuttavia non incontra il Dio Pan ma un iniziatore, il suo stimato colonnello ai tempi degli Old Contemptibles. Questi è Alick Brangwyn, che ricordando l’affidabilità del giovane decide di aiutarlo offrendogli lavoro e ospitalità. In seguito Murchinson fa la conoscenza di Ursula, sorella del suo datore di lavoro, una ragazza eccentrica, studiosa di psicologia e appassionata di Freud.

Assunto come segretario, Murchinson si ritrova coinvolto in mansioni ben più pericolose del previsto. Alick e la sorella sono da tempo alle prese con un esperimento volto a indagare ciò che si nasconde dietro il Velo della realtà. Secondo loro nelle antiche religioni pagane risiede la chiave d’accesso a tali misteri, e per ottenerla occorre integrare i principi della psicologia, altra dottrina che le civiltà arcaiche impiegavano per fini spiritualistici. Vista la spiccata sensitività onirica dimostrata da Murchinson, Alick è convinto di trovarsi finalmente sulla strada giusta. Ma a complicare le cose vi è una società occulta disposta a tutto pur di impadronirsi di questi studi, i cui membri godono di poteri psichici estremamente nocivi. Il bersaglio più appetibile si rivela Ursula. Proteggerla e contemporaneamente salvaguardare il successo della missione non sarà facile.

Per Murchinson l’accesso alla Dottrina Segreta costituisce un percorso iniziatico irto di trappole letali, dove solo la perseveranza, il sacrificio e la sana sete di conoscenza possono fare la differenza. Il suo spirito viene sottoposto a un processo di raffinazione alchemica culminante nel Rituale del Sole, teso a scrostare la grettezza che riveste il profano.

Il talento da sensitivo consente a Murchinson di incamerare particolari energie che gli provocano una sorta di inebriamento divino tramite cui, gli spiega a un certo punto Alick, «l’individuo esce da sé per accedere a una coscienza più ampia»[3]. Viste le rudi fattezze da vichingo, possiamo accomunare le sue trance a quelle di un berserkir, i guerrieri-belve del paganesimo norreno. Murchinson infatti è soggetto a improvvisi accessi di furore, incontrollabili sul momento. Peraltro, ai tempi degli Old Contemptibles, egli si è distinto sui campi di battaglia per la sua tempra inscalfibile, il che convalida nuovamente il parallelismo con i leggendari guerrieri scandinavi.

Quando invece le esperienze estatiche di Murchinson sfociano nell’astrazione ascetica, allora ricadiamo in un terreno confinante a quello berserkeriano, cioè lo sciamanesimo. Come ci illustra Mircea Eliade, «i sogni e le estasi più o meno patogene sono tanti mezzi di accesso alla condizione di sciamano. Talvolta queste singolari esperienze non significano altro che una “scelta” fatta dall’alto e valgono solo a preparare il candidato a ricevere ulteriori rivelazioni. Ma per lo più le malattie, i sogni e le estasi costituiscono in se stesse una iniziazione: vogliamo dire che esse vanno a trasformare l’uomo profano di prima della “scelta” in un tecnico del sacro. L’esperienza d’ordine estatico è sempre e dappertutto seguita da una istruzione teorica e pratica da parte di vecchi maestri: ma non per questo essa è meno decisiva, perché è essa che modifica radicalmente lo stato religioso della persona “scelta”»[4]. Alla luce di ciò è plausibile designare Murchinson come il guerriero-sciamano istruito dal “vecchio maestro” Alick.

Un evento cruciale, lo ribadisco, è stato l’incontro con il toro alato del British Museum, custode della dimensione misterica da quell’istante accessibile al protagonista. Infatti «una delle forme più ricorrenti dell’elezione del futuro sciamano è il suo incontro con un essere divino o semidivino che gli appare in occasione di un sogno, di una malattia o di altra circostanza; che gli fa sapere di essere stato “scelto” e che l’incita a seguire, d’ora in poi, una nuova regola di vita»[5].

La statua dal corpo taurino, testa umana e ali d’aquila rappresenta il mitico Lamassu, divinità mesopotamica (soprattutto assira) a guardia degli ingressi dei palazzi per proteggerli dalle entità malvage. È il medesimo compito a cui sarà chiamato Murchinson dopo l’incontro con l’effige del dio. Vi sono anche esemplari di Lamassu con il corpo di leone, suggerendoci un collegamento con la Sfinge, anch’essa eretta vicino le piramidi a scopo protettivo. A tal proposito c’è da dire che tutto il romanzo della Fortune appare innervato da una filigrana di fattura egizia, lasciando filtrare in controluce l’antica sapienza ermetica di quel popolo illuminato.

Quando nel 1822 l’archeologo francese Jean François Champollion dimostra di saper tradurre i geroglifici, offre al mondo l’opportunità di accedere ai segreti di quella terra meravigliosa adagiata sulle sponde del Nilo. Nasce così l’egittologia, grazie alla quale riacquista vigore la corrente misteriosofica in circolazione da svariati secoli e che possiamo definire, dietro suggerimento dell’accademico Erik Hornung, egittosofia. Questa ha intercettato l’interesse di molti esoteristi del tempo (un esempio è Aleister Crowley con Il Libro della Legge, scritto durante il soggiorno al Cairo, e il Libro di Thot, un’introduzione al gioco di carte Tarot), fino a permeare la ritualistica dei circoli iniziatici tra cui la Golden Dawn e la Società Teosofica, entrambe frequentate da Dion Fortune.

A proposito di esoterismo orientale, va ricordato che l’autrice è anche un’esperta di Qabalah, alla quale ha dedicato lo studio La Cabala mistica (1935). Il Toro alato è il primo romanzo di una tetralogia raccordata all’ermetismo ebraico (gli altri sono La sacerdotessa del mare, Il Dio dal piede caprino e La magia della Luna), dove ciascun volume trova una collocazione precisa sull’Albero della Vita. Nello specifico questo libro «pertiene alla Sephirah Tiphareth, l’eminente sfera centrale dell’Albero che equilibra i pilastri, l’interno e l’esterno, e che porta in sé guarigione, redenzione, insegnamento e guida. […] L’intero lavoro di Dion Fortune gravita attorno all’immagine di un mondo nuovo e di una relazione rinnovata tra uomo e donna. Tra i protagonisti di Il Toro alato abbiamo una coppia di fratelli: Alick è il mentore della dimensione esterna, mentre Ursula è la maestra occulta che si muove dietro le scene e, in un certo senso, rappresenta il ponte d’arcobaleno sul mondo nuovo»[6].

L’unione spirituale tra i sessi è un tema ricorrente nella narrativa della Fortune. Come nel caso di Murchinson e Ursula, lo scopo dell’autrice è il raggiungimento «della fusione mistica, del matrimonio mistico. La sua idea di fondo è che in un mondo in cui gli orientamenti tradizionali sono andati perduti, e il cristianesimo non riesce a riportare la serenità e la pace, è necessario rivolgersi alle antiche sapienze politeistiche, agli spiriti elementari, alle forze che albergano nel mondo, e controllarle con rituali che vanno dalla Qabbalàh […] alle operazioni magiche»[7].

Con Il Toro alato la Fortune ci invita ancora una volta a riscoprire la sacralità interiore, a godere della sua fioritura nel giardino della vita. Il Mistero, ricettacolo di energie archetipiche, va coltivato, portato a maturazione e colto. L’uomo è un convogliatore delle energie che mettono in collegamento i mondi, è un tempio benedetto dove edificare lo spirito e, di riflesso, la società circostante. Sarebbe opportuno, come sostenuto dal personaggio di Alick, ripristinare questa rete connettiva con «le grandi forze naturali che la civiltà moderna ha tagliato fuori»[8].

La salvezza passa in primis da noi stessi. Dion Fortune lo sapeva bene, dal momento che ha impostato la sua vita all’insegna dell’equilibrio alimentare e meditativo. Purtroppo, a soli cinquantacinque anni, una leucemia mieloide acuta l’ha stroncata. Le sue dottrine continuano a dare speranza a coloro che non si accontentano delle strade illuminate artificialmente, ma che, al pari di Murchinson, optano per i sentieri nascosti cercando di penetrare il Velo e bearsi nell’illuminazione autentica, quella dell’anima.

 

 

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[1] A. Richardson, Aleister Crowley e Dion Fortune. Il Logos dell’Eone e la Shakti dell’Era, Venexia, Roma 2019, p. 24.

[2] D. Fortune, Il toro alato, Venexia, Roma 2020, p. 13.

[3] Ivi, p. 119.

[4] M. Eliade, Lo sciamanesimo e le tecniche dell’estasi, Edizioni Mediterranee, Roma 1999, p. 53.

[5] Ivi, p. 89.

[6] I. Rees e P. Billington, Le Chiavi del Tempio. La Qabalah mistica di Dion Fortune decodificata attraverso i suoi romanzi, Venexia, Roma 2018, p. 87.

[7] C. Asciuti, Guida alla letteratura esoterica, Odoya, Bologna 2016, p. 158.

[8] D. Fortune, Op. cit., p. 211.


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