Editore: Arcoiris

Collana: La Biblioteca di Lovecraft

Data di pubblicazione: Ottobre 2020

Pagine: 292

Formato: Copertina flessibile

Prezzo di copertina: 14 € 

Ebook: /

 

 

 

 


Siamo nei ruggenti anni Sessanta dell’Ottocento italiano. Ruggenti sotto il profilo di un positivismo ormai egemonico, cavalcato dal realismo letterario che ha proclamato Manzoni suo alfiere onorario. La critica nazionale, in sintonia con i canoni imperanti, si è arrogata il diritto di deliberare su quali autori tramandare e quali invece condannare alla marginalità. A farne le spese sono soprattutto gli scritti che rispondono al gusto massificato per l’esaltazione di situazioni e personalità eversive, preposte a scompigliare lo status quo del conservatorismo borghese. E, a dispetto delle miopi trincee ideologiche dietro le quali si barricano gli acclamatori della “Letteratura Alta”, il pubblico, insieme ad alcune frange intellettuali d’avanguardia, fa incetta di fantasticherie sulfuree ed esotiche escursioni nei non-luoghi del meraviglioso. Ce lo ricorda l’assortito apparecchiamento di riviste italiane che, dagli ultimi scampoli del XIX secolo ai primi passi del XX, hanno placato con successo gli appetiti pulp del pubblico.

In gran parte d’Europa e del Nord America il fenomeno perdura ormai da tempo. La cultura italiana invece, causa ostracismi di matrice ecclesiastica e politica, si dimostra abbastanza arida verso tali influssi letterari, causandone un attecchimento meno rigoglioso e fuori stagione. Nonostante tutto, qualche refolo di sensazionalismo macabro trapela tra le maglie dell’editoria nostrana, trovando un entusiastico accoglimento presso alcune schiere di scrittori motivati a sperimentare nuovi generi e nuove formule. Un caso acclamato è l’apparizione nei periodici nazionali di Edgar Allan Poe, che aveva trovato in Francia, e in particolare in Baudelaire, il centro di snodo per il successo europeo. Nel 1857 la testata torinese “Il Gabinetto di Lettura” si aggiudica il primato per la traduzione dell’autore statunitense, promuovendo i suoi scritti con titoli ad effetto quali Incredibili avventure, Storie incredibili, Racconti incredibili, Storie meravigliose, Racconti straordinari, ecc.

Il movimento della Scapigliatura, notoriamente permeabile a simili tematiche, ha eletto Poe maestro del sensazionalismo macabro, tanto che, sottolinea l’accademico Andrea De Luca, «i successi editoriali delle sue traduzioni diedero vita a un vero e proprio sottogenere, quello dei racconti straordinari. […] Il tema della tumulazione prematura in queste novelle sembra essere quello di maggior successo tra il pubblico italiano […]»[1]. Francesco Mastriani (1819-1891) e Carolina Invernizio (1851-1916), ad esempio, «pionieri del giallo italiano e del romanzo d’investigazione, sembrano essersi ispirati proprio a Poe, a partire dal titolo, per le loro omonime storie: La sepolta viva è il titolo dei loro romanzi, rispettivamente del 1877 e del 1896. Del resto quello dell’inumazione da vivi era un tema di grandi potenzialità e sicura presa sul pubblico: al confine tra Positivismo e occulto, questa paura arcana depositata dentro ognuno di noi avrebbe dato vita anche alle innumerevoli saghe sui vampiri»[2].

Nel plasmare la fisionomia teratologica del vampiro, alla fobia dell’inumazione si aggiunge quella della malattia, anch’essa afferente alla dimensione interiore più oscura e segreta. Non dimentichiamo la pandemia vampirica scoppiata nell’Europa dell’Est al volgere del XVII secolo, i cui bizzarri resoconti erano soliti tracimare oltre l’empirismo clinico, andando a rimpinguare il bacino di superstizioni sui nosferatu che ha suggestionato il resto del Vecchio Mondo.

Nella cornice protoromantica e decadentista italiana Igino Ugo Tarchetti (1839-1869), tra i maggiori esponenti della Scapigliatura, dedica gran parte della sua narrativa alla malattia intesa come manifestazione del male, ascrivibile a quel repertorio notturno facente capo al lato in ombra, minacciosamente imperscrutabile, della natura[3].

È dunque inevitabile che simili paradigmi letterari, allacciati al medesimo contesto storico-sociale, si impongano come riferimento per tutti quegli autori aderiti alla medesima investitura crepuscolare, interessati ai sentieri nascosti della realtà che aggirano gli schematismi immanenti. Tra costoro, il primo a riformulare i suddetti paradigmi in chiave vampirica è il giornalista emiliano Franco Mistrali[4] (1833-1880), garibaldino irrequieto, libertino e calunniatore. Sono note le sue frecciate al veleno contro Giosuè Carducci, così come i numerosi eccessi sconfinati nel reato. Pare fosse coinvolto persino nel fallimento della Banca delle Romagne, scontato dopo cinque anni di carcere. In ambito letterario Mistrali sfoggia un’attitudine altrettanto grottesca. Di particolare rilievo è la raccolta I racconti del diavolo. Storia della paura (1861), zeppa di influssi derivanti da esponenti di spicco quali E.T.A. Hoffmann, William Beckford e Edgar Allan Poe. Tenendo sempre fede ai suoi numi ispiratori, otto anni dopo Mistrali pubblica il primo romanzo italiano sui succhiasangue intitolato Il vampiro. Storia vera (ed. Compositori, 1869). Un’opera che spiana il sentiero ai propri connazionali (seguiranno ad esempio Capuana con Un vampiro, Salgari con Il vampiro della foresta, de Feo con Il vampiro) e anticipa alcuni capolavori stranieri (su tutti Carmilla di Le Fanu e Dracula di Stoker). Nel 2011 la Keres Edizioni lo aveva ripescato dal dimenticatoio, prima che vi ripiombasse nuovamente a seguito del fallimento dell’editore. Adesso ci hanno pensato le Edizioni Arcoiris a riproporlo nell’ottima collana “La Biblioteca di Lovecraft”, permettendoci di posare le mani sopra un tassello fondamentale della letteratura italiana del fantastico. L’edizione presenta un appeal necro-decadentista decisamente heavy metal, contrassegnato dalla copertina e le illustrazioni interne di Michele Carnielli (chitarrista e cantante dei Kröwnn) e dall’introduzione di Magus Wampyr Daoloth (basso e voce del gruppo black metal ellenico dei Necromantia).

 

“[…] io mi propongo puramente e semplicemente di narrare una vicenda alla quale ho assistito, e di cui non mi uscirà mai dalla mente la dolorosa ricordanza: è una istoria vera che parrà a molti romanzo, e non è: la storia di un dramma intimo, terribile, spietato: è la prova del pervertimento a cui può giungere l’anima umana conservando le apparenze più prestigiose della virtù: è una di quelle depravazioni dello spirito che sono più frequenti di quanto non si creda, ma che d’ordinario sfuggono al giudizio della società, perocchè rimangano un eterno segreto fra la vittima, il colpevole e Dio”

 

Principato di Monaco, 1862. Un luogo paradisiaco abbarbicato sulla costa mediterranea, crocevia dell’alta società di tutto il mondo. Il protagonista vi giunge due settimane dopo la morte dell’amata Ada, ma il clima mite e la vivace vita mondana lo aiutano a stemperare il lutto. Non ci mette molto ad ambientarsi, trovando nel conte Alfredo Kastia, rampollo di una nobile famiglia polacca, un amico sincero che lo ospiterà nella sua lussuosa villa. Il conte, nota il protagonista, è solito contemplare un quadro appeso in biblioteca raffigurante l’Ofelia shakespeariana in prossimità di un lago, pronto a cullarne le spoglie suicide. Il soggetto del dipinto però esiste realmente, e i due uomini vi si imbattono durante una passeggiata. Inizialmente l’imprevisto traumatizza soprattutto Kastia, che conosce bene quella Ofelia. In un secondo momento è l’amico a sprofondare nello sconcerto, non appena scopre che la donna corrisponde alla contessa Pia Ludowiska, deceduta dieci anni prima e sepolta nel cimitero dei protestanti di Nizza. La tomba attualmente risulta vuota, quindi come interpretare la sua presenza tra i vivi? È forse possibile rinsavire dalla morte? Così la pensa il conte, la cui rivelazione, accompagnata dai rintocchi delle campane di mezzanotte, gettano l’ospite nel panico.

 

“La voce di bronzo diceva nel suo linguaggio cupo: è mezzanotte; l’ora dei superstiziosi terrori, l’ora dei misfatti e delle apparizioni, l’ora degli scellerati e dei morti. Un brivido di febbre mi cercò le ossa: aveva paura

 

Da questo istante prende a dispiegarsi un drappeggio di funeste vicissitudini puntellato di intrighi geopolitici, cospirazioni dinastiche, segreti di Stato e sette occulte. Lo scetticismo del protagonista, inizialmente convinto che nella sola plausibilità della logica stia rintanato il bandolo del mistero, dovrà suo malgrado risalire una china surreale disseminata di appigli fallaci a prova di raziocinio. Va invece avvalorandosi l’ipotesi di un sanguinario intrigo imperiale che vede all’opera sinistri agenti sovversivi, appropriatisi di conoscenze antiche allo scopo di riscattare l’onore personale e del proprio casato dal brutale despotismo dello Zar di Russia.

L’autore si sofferma spesso – in alcuni frangenti fin troppo – ad enunciare i riferimenti contestuali, con l’intento di validare all’attenzione del lettore l’attendibilità dei fatti. Quando poi si imbatte negli scenari, la prosa tende a dipingere più che descrivere, tinteggiandoli di una sognante melanconia che mi ha ricordato un John Constable (1776-1837) o un Caspar David Friedrich (1774-1840). La cifra stilistica, fastosa e melodrammatica, è stata mantenuta inalterata dall’editore. L’obiettivo, dal mio punto di vista centrato (riconosco tuttavia che a palati poco avvezzi la lettura possa risultare meno fluida), è quello di restituire il valore originale dell’opera, così da consentirne una degustazione autentica.

La vampira entra di diritto nell’immaginario ottocentesco (perdurato fino ai primi decenni del XX secolo) della femme fatale, figura spregiudicata che ha disarcionato il giogo patriarcale per crogiolarsi in un’emancipazione sfrenata. Agli occhi dei suoi contemporanei, soprattutto di sesso maschile, questa condotta la rende una pericolosa e immorale prevaricatrice. Il conte Kastia non perde l’occasione di farlo presente:

 

“La donna moderna è una cosa novissima: il nostro secolo potrebbe invocare un brevetto di invenzione: la questione sociale progredisce come una marea: la corruzione ha guadagnate le cime più eccelse: il fango è stato lanciato fin sui più nobili blasoni….”

 

La contessa Ludowiska va dunque ad arricchire lo stereotipato inventario di dominae nocturnae che, dal culto neolitico della Dea Madre, passando per i riti sciamanici e i convivi dei Sabba, paventano nel suscettibile immaginario androcentrico una femminilità lunare – archetipicamente ctonia e onirica – che le espone puntualmente a una codificazione demonologica. Nonostante ciò la loro figura è sempre circonfusa di magnetica adorazione, un influsso che secondo l’archeologa Marija Gimbutas ascende da un passato ginocentrico consacrante il principio femminile a «un ruolo formidabile nel mondo inconscio del sogno e della fantasia. Esso rimane (nella terminologia junghiana) “il deposito dell’esperienza umana” e una “struttura del profondo»[5]. È infatti nei profondi sedimenti dell’esperienza, impilati su «secrete imperscrutabili leggi»[6], che Mistrali va a scovare con originalità la propria interpretazione del vampirismo.  Quest’ultimo, più che conformarsi alla tradizione, si inscrive in quei misteri sapienziali – circolanti nelle ritualità arcaiche – della natura che individuano nel sangue uno degli elementi nobili utili per una trasmutazione della vita e dello spirito. Il fluido vitale si sublima in un misticismo panteistico che da sempre compartecipa all’assestamento dell’ecosistema, seppur tramite vie alternative sconosciute ai più. Una teoria che Mistrali ha potuto tranquillamente desumere dagli studi di celebri esoteristi come Johannes Trithemius (1462-1516) e Cornelius Agrippa di Nettesheim (1486-1535).

Come classificare quindi il vampirismo di Mistrali? Forse alchemico? Lascio trovare a voi la risposta, ricordandovi che riuscirete ad elaborarla solo nelle ultime fasi della storia. Arrivati invece alle battute finali di questo articolo, vi saluto con il mio verdetto: Il vampiro. Storia vera è un romanzo che nessun cultore della letteratura vampirica può astenersi dal leggere.

 

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[1] A. De Luca, La scienza, la morte, gli spiriti. Le origini del romanzo noir nell’Italia fra Otto e Novecento, Marsilio, Venezia 2019, p. 17.

[2] Ibidem.

[3] Analizzando più a fondo il corpus narrativo di Tarchetti si nota come la malattia vada a incanalarsi nel leitmotiv della nevrosi e della follia, mettendo in luce peraltro diversi punti di contatto con il perturbante di Guy de Maupassant (1850-1893).

[4] Seppure in ambito diverso, pare ci sia stato un altro italiano prima di Mistrali ad aver trattato il vampiresco. Si attribuisce infatti ad A. De Gasperini l’opera lirica Il vampiro, rappresentata per la prima volta a Torino nel 1801. Stando al The Vampire Book: The Encyclopedia of the Undead (Visible Ink Press, 2013) curato da J. Gordon Melton, non si è mai rintracciato alcun libretto dell’opera, nemmeno nelle biblioteche italiane, al punto da mettere in dubbio la sua effettiva esistenza.

[5] M. Gimbutas, Il linguaggio della Dea. Mito e culto della dea Madre nell’Europa neolitica, Neri Pozza, Vicenza 1997, p. 320.

[6] F. Mistrali, Il vampiro. Storia vera, Edizioni Arcoiris, Salerno 2020, p. 271.


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