Editore: Frassinelli

Collana: Frassinelli

Data di pubblicazione: Settembre 2017

Pagine: 150

Formato: Copertina rigida

Prezzo di copertina: 17,50 €

Ebook: 9,99 €

 

 

 

 


“[…] queste pagine fitte di eventi mirabili e terribili, sulle cui tracce il protagonista esplora il reticolo orribilmente geometrico di una Torino fine Novecento slabbrata e segretamente febbricitante. Un’emblematica città d’Italia dove Forze Oscure operano ai danni di un umanità di resistenza. Una profezia, un esorcismo, o più semplicemente una tragica metafora proiettata in un futuro gravido di attualità” (dalla quarta di copertina della vecchia edizione scritta dallo stesso De Maria).

Dopo ben quarant’anni dalla sua uscita (Edizioni Il Formichiere, 1977), l’editore Frassinelli riesuma il romanzo di Giorgio De Maria (1924 – 2009) “Le venti giornate di Torino”, riscoperto con successo anche negli Stati Uniti. Stavolta l’etichetta di libro maledetto non è un’esca di tendenza, bensì un tangibile decadimento che marchia sia l’atmosfera del romanzo che la vita dell’autore.

Giorgio De Maria ha trascorso un’esistenza travagliata. Ha smesso di suonare il piano per una malattia alla mano sinistra. Ha lavorato in FIAT e RAI, con pessimi risultati. Dall’essere anticlericale convinto si è convertito al cristianesimo, riferendo persino di visioni mistiche. In una di queste si credeva addirittura un angelo e volendosi ricongiungere con Dio ha spiccato il volo dal quarto piano. L’ascesa si è tramutata in una rovinosa caduta sul telone steso in strada dai pompieri, accorsi preventivamente grazie alla chiamata dei familiari. Arrivato in ospedale, con fratture multiple, De Maria ha allontanato gli psichiatri esibendo un crocefisso prelevato dalla parete. Da quel momento ha abusato di alcol e Halcion, fino a morire mezzo pazzo e quasi sul lastrico.

Nel saggio che gli ha dedicato, Giovanni Arduino – curatore della postfazione del romanzo – conferma che “Le venti giornate di Torino è l’unico, autentico romanzo maledetto italiano. Non è una boutade a casaccio, ma a stabilirlo sono trama, atmosfera, vita dell’autore, legami, connessioni, effetti sui lettori. Per esito complessivo, lo paragoniamo a La casa dalle finestre che ridono di Pupi Avati: un parassita che non ti esce più da dentro e continua a succhiare famelico” (Il diavolo è nei dettagli, Sperling & Kupfer, 2017).

Andiamo quindi ad addentrarci in questo inferno torinese, esploso il 3 Luglio di dieci anni prima, quando degli eventi raccapriccianti hanno sconvolto la città per venti giorni. I testimoni riferiscono episodi che esulano da ogni logica, lasciando polizia e stampa prive di basi concrete su cui imbastire un’indagine sensata. Efferati delitti hanno avuto luogo nei centri storici della città, e le rade testimonianze coincidono sulla presenza di energumeni dalla pelle grigia e la forza prodigiosa che, preda di un’isteria omicida, si sono accaniti contro capannelli di cittadini insonni. Il risultato è stata una psicosi collettiva senza precedenti.

Dopo dieci anni un anonimo investigatore (e io narrante) decide di rispolverare la vicenda per scriverci un libro, nella speranza di ottenere finalmente un minimo di chiarezza. Inizia così a interrogare personalità coinvolte in quelle dieci giornate, raccogliendo frammenti sparsi con cui ricomporre un mosaico esaustivo, che invece va infittendosi di agghiaccianti dettagli.

Il fulcro di tutto il pandemonio pare essere la Biblioteca, istituita all’epoca da due giovani – apparentemente – di belle speranze che intendevano raccogliere le memorie dei cittadini per condividerle e incentivare la socializzazione. Ognuno poteva infatti chiedere l’identità dell’autore e incontrarlo, oppure seguirne semplicemente la quotidianità mantenendosi anonimo. Col tempo però l’intima conoscenza del prossimo è diventata una scusa per pedinarlo e ricattarlo, innescando una subdola depravazione di massa. Dell’edificio, abbattuto nel mese di Settembre di dieci anni prima, resta un cumulo di scartoffie ammonticchiate in uno scantinato presidiato da due guardie comunali. Sembra infatti che la regia di tutto sia in mano a organizzazioni occulte ramificate nei piani alti della società, motivo in più per seppellire la verità sotto un omertoso riserbo.

De Maria viene considerato un profeta per aver anticipato l’era dei social network. Proprio come accade su Facebook, la Biblioteca consente a chiunque porti scritti autobiografici (i cosiddetti profili pubblici dell’era digitale) di spulciare quelli altrui e decidere con chi stringere rapporti o semplicemente seguirne la vita. Se poi ci soffermiamo sulla piega dissoluta che stanno prendendo oggigiorno i social network, invasi da offese e minacce partorite da menti deboli e frustrate, l’inquietante visione profetica di De Maria acquisisce una rilevanza da non sottovalutare. Si spera solamente che non sfoci nelle psicosi collettive delineate nel romanzo, anche se preoccupanti avvisaglie ogni tanto vengono a galla.

Le venti giornate di Torino è un libro che travalica i generi e i tempi. Narra di un burrascoso passato che guarda con apprensione a un futuro altrettanto angoscioso. Dal punto di vista squisitamente letterario ci troviamo al cospetto di un giallo che trasuda orrore cosmico, cospirazionismo e follia allo stato puro. Statue che sembrano prendere vita, civili inebetiti che vagano di notte per le vie cittadine facendosi sfracellare il cranio sui monumenti, poteri occulti che trascendono la normale percezione dell’esistenza e condannano chi vi si accosta a un oblio senza ritorno.

Questo romanzo non vi lascerà indifferenti, è troppo malato e delirante per darvene modo. Ingiustamente dimenticato, Le venti giornate di Torino risorge in una nuova e più curata veste editoriale per riprendersi prepotentemente la riconoscenza che merita. Una prestigiosa perla nera del nostro patrimonio letterario.


1
fb-share-icon21
Tweet 20
Pin Share20