Editore: Black House

Data di pubblicazione: Ottobre 2019

Pagine: 149

Formato: Copertina flessibile

Prezzo di copertina: 12 € 

Ebook: 3,99 € 

Christian Sartirana è un autore noto soprattutto per le storie gotiche ambientate nelle periferie piemontesi, dove il soprannaturale continua a nutrirsi del retaggio folclorico ancora florido nelle piccole co


Christian Sartirana è un autore noto soprattutto per le storie gotiche ambientate nelle periferie piemontesi, dove il soprannaturale continua a nutrirsi del retaggio folclorico ancora florido nelle piccole comunità meno contaminate dalla moderna dittatura capitalista che invece spadroneggia nei grandi agglomerati urbani. Le sue storie sono approdate diverse volte sul Crocevia guadagnandosi, a mio giudizio, valutazioni più che positive. È stato il caso di Ipnagogica (2017) e Il paese tomba (2019).

Nel suo nuovo romanzo Queho. L’Uomo Nero dell’Ovest Sartirana ci trasloca dalle frontiere urbane a quelle esotiche dei cowboy americani intrise di stregoneria amerindia, mantenendo inalterata l’accezione metafisica del termine “frontiera”, vale a dire quella soglia liminale tra l’antico e il moderno, tra la materializzazione delle credenze popolari e l’infrazione del razionalismo civilizzato. Un humus di riflessi contrastanti ideale per far attecchire i semi della paura per l’ignoto già radicati nell’inconscio collettivo, oggi come al tempo dei conquistadores. La superbia etnocentrica di questi ultimi, votati al barbarico principio hobbesiano homo homini lupus, ha espiantato il nobile primitivismo del “buon selvaggio”, mito soprattutto romantico di rousseauiana memoria, trasfigurandolo nello spauracchio dell’uomo nero al fine di giustificare le distorte ideologie civiliste dei bianchi e la loro imposizione armata. Tuttavia, come sempre accade, sotto le ceneri di un’originarietà bandita continuano a fumare inquiete le braci della natura autoctona, con tutto il suo bagaglio di tradizioni tribali. Memore dei sanguinosi sforzi profusi per destituirle, il colonizzatore del Nuovo Mondo continua a subire nel subconscio i traumi secolari di quel confronto estenuante con la vastità selvaggia e l’estraneo paganesimo dei nativi, mai realmente domati. Si tratta di una forma aborigena di spettralità riproposta con efficacia dal weird western, genere narrativo in cui Queho intinge leggermente il lato storico della leggenda, risalente ai truculenti report di cronaca nera che hanno sconcertato il vecchio West, spalmandovi sopra una melassa vermiglia prelevata da alcune tra le più iconiche pellicole horror (Halloween, Hostel e Alien).

Direi che la portata si presenta invitante, andiamo dunque a valutarne il sapore.

Intorno ai fuochi dei bivacchi, coloni e minatori raccontano storie di capi di bestiame scomparsi misteriosamente, di furti inspiegabili e di morti ammazzati, trasformando progressivamente il disgraziato Queho in un “uomo nero”, un’ombra inquietante e letale che aleggia lungo le rive del fiume Colorado”

Il romanzo è ambientato in Nevada agli inizi del Novecento, nella cittadina di White Crow lungo le sponde del fiume Colorado. Uno strano morbo sta decimando il bestiame, riducendo ogni esemplare a un coagulo impazzito di pus e sangue. Nemmeno le persone se la passano meglio, viste le stragi perpetuate da un gigantesco Cocopah[1] chiamato Queho, un aborto dell’inferno sulla cui testa squilibrata pende una taglia di quattromila dollari. Egli è l’incarnazione del terrore superstizioso che attanaglia i gringo, nonostante i loro patetici tentativi di sfogarlo mediante rabbiose persecuzioni a danno dei nativi. Se il diverso incute paura lo si demonizza, così da poter instaurare una causa morale che ne legittimi lo sterminio.

Queho è un Frankenstein amerindio infestato da un infernale Mr. Hyde. È una deformità genetica mentalmente turbata, ripudiata persino dai familiari e incapace di trovare posto in una società pregiudizievole che, dopo averlo umiliato ed emarginato, ne subisce le violente ritorsioni. Similmente alla creatura shelleyana anche Queho è frutto di un concepimento innaturale e blasfemo. Lo sciamano Owl Rae, il dottor Victor di turno, officia un rito tribale innestando nel gigante un’entità parassitaria che lo manda fuori controllo. Queho è dunque affetto da un altro patema che alligna la letteratura gotica Sette-Ottocentesca, il doppelgänger: l’alter-ego negativo di un personaggio, la sua inestricabile nemesi istintuale che lo condiziona fino alla morte. Qui la tematica viene riformulata secondo gli stilemi tipici dello slasher (dall’inglese to slash che significa “ferire profondamente”), stando ai quali nell’essere vivente è connaturato un male che, come un parassita, prende progressivamente possesso dell’organismo alterandolo sia intimamente che esternamente. Secondo tale «idea di coesistenza tra bene e male nell’animo umano, l’antagonista di uno slasher è l’espressione e la realizzazione del lato oscuro dell’uomo. […] In termini tecnici l’antagonista di un horror è l’archetipo dell’Ombra, del male, del rimosso, qualcosa che, come solo un archetipo può fare, riguarda profondamente l’essenza umana»[2]. Pertanto la fine dei giochi non può contemplare una pace utopica, ma solo uno stallo momentaneo prima che il male si riperpetui in un mondo realisticamente inscindibile da esso.

“La sua carne ingoia il dolore. Lui divora la morte. La morte che mangia la morte…”

Al pari della natura di Queho anche la conformazione del romanzo è inconsueta. Strutturato quasi come una sceneggiatura, il testo presenta brevi introduzioni descrittive della scena, l’elenco dei personaggi coinvolti e i dialoghi a sancire l’azione scenica. In altri, sporadici frangenti invece la trama segue uno svolgimento più canonico sotto la direzione del narratore eterodiegetico. L’espediente di Sartirana permette al lettore un’immersione viscerale nella storia, epurata da ogni orpello descrittivo a vantaggio di secche e cruenti pugnalate narrative che acutizzano ottimamente l’esasperante senso di urgenza e di tracollo generale che anima la vicenda. Ogni capitolo è un fugace squarcio chiaroscurale sull’orrore convulso che si espande a macchia d’olio nella comunità di White Crow, gettandovi scompiglio e morte. Il lettore è dunque incitato dal ritmo incalzante a divorare le pagine pur di venire a capo del mistero sull’inarrestabile Queho, del quale viene ricostruita a piccole dosi una caratterizzazione affatto banale. Ancora una volta complimenti a Christian Sartirana, capace di esplorare nuove formule narrative senza snaturare la qualità e i fondamenti delle sue perturbanti ispirazioni.

Il romanzo breve si chiude con una postfazione di Gian Mario Mollar inerente la vera storia di Queho e le suggestioni del weird west. Su argomenti affini Mollar ha scritto l’interessantissimo saggio I misteri del Far West. Storie insolite, macabre e curiose dalla frontiera americana (Il Punto d’Incontro, 2019), dal quale Sartirana ha carpito qualche spunto utile alla stesura di Queho.

A lettura ultimata, qualora vogliate ampliare il genere, consiglio di recuperare alcune letture decisamente stimolanti: l’antologia tutta italiana Sangue Selvaggio. Incubi dal profondo West (Weird Book, 2018), Sentieri di Sangue (Independent Legions Publishing, 2016) di Jack Ketchum, Io viaggio di notte (Independent Legions Publishing, 2016) di Robert McCammon e la geniale variante in salsa furry di Daniel Polansky intitolata The Builders (Acheron Books, 2017). Ovviamente non trascurate gli autori classici del soprannaturale “di Frontiera”, su tutti Algernon Blackwood, Ambrose Bierce e Robert E. Howard.

Queho. L’Uomo Nero dell’Ovest lo trovate su Amazon in formato elettronico, mentre per il cartaceo basterà chiedere direttamente all’autore che sarà ben lieto di inviarvi una copia, tra l’altro ben curata anche sotto il profilo estetico.

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[1] «I Cocopah, noti anche come Cocopá (in lingua cocopah: Kwapa o Kwii Capáy – “popolo della nuvola” in riferimento alla nebbia lungo il fiume Colorado), sono una tribù di nativi americani che vivono nella Bassa California e Sonora, nel Messico, e nell’Arizona, negli Stati Uniti». Fonte: https://it.wikipedia.org/wiki/Cocopah

[2] G. Caputo, Slasher: archetipi e segni particolari di un sottogenere horror, 2018, consultabile qui: https://www.thewisemagazine.it/2018/12/15/slasher-archetipi-e-segni-particolari-di-un-sottogenere-horror/


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